Celiachia o sensibilità al glutine? Il ruolo della disbiosi intestinale

Si contano sempre più persone colpite da un disturbo difficilmente classificabile: la sensibilità al glutine non celiaca (Non Celiac Gluten Sensitivity, NCGS). Quest’ultima non è né una celiachia tradizionale né una forma di allergia al grano. È piuttosto un’intolleranza in costante aumento – diagnosticabile per via differenziale. In ogni caso, secondo studi recenti, un microbioma intestinale compromesso (disbioma) potrebbe essere coinvolto nella patogenesi della condizione summenzionata.

Le ricerche a noi contemporanee sono state il pretesto per ripensare la dieta quotidiana e per analizzare la portata dei sintomi intestinali ed extra-intestinali ingenerati dal consumo di glutine. In questo articolo, di conseguenza, voglio approfondire lo spettro dei disturbi glutine-correlati e concentrarmi sulle implicazioni della NCGS, tra diagnostica e terapie.

 

Epidemiologia e diagnosi della celiachia

In Italia come negli Stati Uniti, la diffusione di test sierologici ha reso possibile condurre studi su larga scala, rivelando un tasso di sensibilità al glutine più elevato di quello che si riteneva possibile. Sebbene le stime non siano definitive – perché in costante aggiornamento – sappiamo che l’incidenza italiana è ancora oggi coerente alla media europea (0,5 casi ogni 1000 abitanti) a dimostrazione del fatto che la celiachia (Celiac Desease, CD) sia ormai una condizione d’interesse mondiale. È infatti stata dimostrata la presenza del disturbo CD in aree geografiche nelle quali lo si credeva inesistente, come l’Africa e il Sud America.

In uno scenario di questo tipo, è stato possibile osservare e comprendere il meccanismo della celiachia. Quest’ultima è una patologia autoimmune in cui la gliadina – la proteina contenuta nel glutine – innesca una risposta dell’intestino, tra i principali alleati del sistema immunitario dell’organismo. La massiccia quantità di anticorpi così prodotta aggredisce l’intestino tenue e causa l’atrofia dei villi intestinali. Senza dilungarci nella sintomatologia della celiachia, è sufficiente sapere che la CD viene comunemente diagnosticata attraverso la rilevazione di anticorpi contro la trans-glutaminasi 2 (TG2) e infine confermata da una biopsia dell’intestino tenue.

 

L’allergia al frumento, la sensibilità al glutine non celiaca e la diagnosi differenziale

La sensibilità al glutine può inoltre esprimersi mediante due sindromi, entrambe accertate con diagnosi differenziale rispetto al quadro di celiachia: mi riferisco all’allergia al grano (Wheat Allergy, WA) e alla sensibilità al glutine non celiaca – la Non Celiac Gluten Sensitivity, NCGS già citata. Ambo i disturbi si manifestano mediante sintomi avversi provocati dall’ingestione del glutine. In ogni caso, se da un lato l’allergia al grano è stata ampiamente studiata e definita sul versante diagnostico e si caratterizza per essere una reazione del sistema immunitario alle proteine contenute nel grano, la sensibilità al glutine non celiaca è tutt’oggi un punto interrogativo.

Quest’ultima non presenta infatti gli anticorpi già menzionati nel caso della celiachia – mi riferisco a Ttg, Iga ed EMA IgA – e non implica nessuna lesione grave della mucosa intestinale (atrofia dei villi). I sintomi sono, tuttavia, sovrapponibili a quelli della CD. Tra le manifestazioni intestinali: gonfiore addominale, diarrea, meteorismo e crampi all’addome. Tra i sintomi extraintestinali: astenia, emicrania, anemia e dermatite.

La sintomatologia della sensibilità al glutine non celiaca si manifesta a distanza di ore/giorni dall’ingestione di alimenti a base di glutine e tende a migliorare, in completa autonomia, con l’eliminazione di questi ultimi dalla dieta. In ogni caso, la caratterizzazione della NCGS è attualmente troppo vaga per garantire un iter diagnostico. Il riconoscimento della presenza di sensibilità al glutine non celiaca avviene mediante diagnosi differenziale, ovverosia eliminando la possibilità che il soggetto sia affetto da celiachia o da allergia al grano.

Sul versante epidemiologico, si stima che la sensibilità al glutine non celiaca sia alla base di un’elevata percentuale di potenziali diagnosi, tutte correlate a soggetti che lamentano disturbi intestinali abituali.

 

Il ruolo della disbiosi intestinale nell’insorgenza della sensibilità al glutine non celiaca

Il microbiota intestinale – la flora batterica che popola l’intestino – è composta in prevalenza da due specie batteriche: i Bacteroides, che regolano la produzione degli acidi grassi SCFA a catena corta, e i Firmicutes. Svariati gruppi di ricerca hanno dunque dimostrato che la CD può essere associata a un’alterazione del microbioma intestinale, con la conseguente riduzione nella produzione di butirrato. Quest’ultimo è tra i principali SFCA ed è la fonte di energia più importante per la protezione del colon-retto e per la riparazione delle cellule epiteliali. La diminuzione di butirrato provoca quindi un eccesso di permeabilità intestinale. Se l’ipotesi dei ricercatori si dimostrerà attendibile, ciò significa che la sensibilità al glutine non celiaca deriva da una compromissione dello stato mucoso e dall’indebolimento delle cellule intestinali (gli enterociti), che diventerebbero più propensi a subire danni. Come se non bastasse, uno studio recentemente pubblicato da Uhde et al. ha fornito prove a sostegno di questa tesi.

Nella ricerca si legge:

«I risultati dimostrano la presenza di marcatori d’attivazione immunitaria sistemica e danni alle cellule epiteliali dell’intestino nei soggetti che riferiscono sensibilità al grano in assenza di celiachia.»

I “marcatori” citati nello studio sono inoltre diminuiti sensibilmente a seguito di una dieta semestrale priva di glutine.

 

Conclusioni. Disbiosi intestinale, consigli e prevenzione

Gli studi summenzionati evidenziano un aspetto di primaria importanza: l’eliminazione del glutine dalla dieta gioca un ruolo chiave – sebbene non determinante – nella prevenzione e nella lotta alla sensibilità non celiaca. Se il soggetto desidera prima di tutto ripristinare la salute del proprio intestino, deve stabilire un iter preventivo ad hoc, ovverosia fondato su accorgimenti pratici a favore dell’equilibrio del microbiota. Perché se è vero che l’assenza di glutine nella dieta terrà a bada la risposta immunitaria dell’organismo e ridurrà drasticamente l’insorgenza dei sintomi, non sarà possibile minimizzare i rischi di disbiosi intestinale continuando a mangiare male, vivere con un pessimo stile di vita e in modo disorganizzato. Nonostante le routine quotidiane siano sempre più frenetiche e stressanti, è compito dell’individuo ridurre progressivamente i cibi ultra-processati, gli zuccheri semplici e i carboidrati raffinati a favore di alimenti sani.

 

Fonti Scienfiche:

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