Il ruolo della disinformazione medica nel trattamento del colesterolo LDL [Parte 2]

L’articolo precedente si è concluso con una riflessione di ordine generale: la disinformazione medica a cui siamo esposti nella società a noi contemporanea può essere liquidata – per dirlo con l’American Heart Association (AHA) – come “residual risk”, letteralmente “rischio residuo”? Non è forse meglio debellare la piaga delle fake news, giungendo a una comunicazione sanitaria chiara e oggettiva tanto per il professionista quanto per il paziente? La seconda parte del mio contributo è stata scritta con l’intento di smascherare i giochi di potere a lungo tenuti nascosti dalle associazioni sanitarie statunitensi, nella speranza che l’informazione oggettiva possa sensibilizzare anche i “non addetti ai lavori”.

 

Una bugia medica dal valore di 1,7 miliardi di dollari

Siamo nel 1961. Il Time dà alle stampe le dichiarazioni del biologo e fisiologo statunitense Ancel Keys, conosciuto per gli studi condotti sull’epidemiologia delle patologie cardiovascolari. Il fulcro della sua tesi può essere riassunto nell’espressione «gli americani consumano troppi grassi», facendo riferimento a quel mix di calorie desunte da burro, gelato, carne, latte e condimenti a non finire. Keys conclude la sua arringa così: «La dieta degli Stai Uniti è ricca di grassi saturi – quelli nocivi – che aumentano il colesterolo nel sangue, danneggiano le arterie e incidono sullo sviluppo di malattie coronariche». Se Keys fosse stato onesto con se stesso, con gli ascoltatori statunitensi e con la vasta schiera di colleghi su cui faceva presa, avrebbe specificato la natura dei dati da lui ricavati in laboratorio: la margarina alla base dei suoi esperimenti, nonché alimento che reputava fosse connesso alla manifestazione dei disturbi summenzionati, era stata creata artificialmente da oli vegetali idrogenati. Questi ultimi vengono saturati, e dunque resi solidi, mediante lavorazione chimica. Il processo – si sa bene – è ora noto per incidere negativamente sullo stato di salute dell’organismo, provocando aumento di peso e predisposizione a infarti e ictus.

In uno scenario del genere non sono tardate ad arrivare le prime comunicazioni da parte dell’American Heart Association, da cui Ancel Keys raccoglieva fondi. Nel giro di pochi mesi, lo scetticismo del presidente Paul Dudley White – lo stesso che si è occupato in passato delle cardiopatie di Eisenhower – si è trasformato in entusiastico supporto alle tesi di Keys. Il brusco cambio di rotta è stato, a ben vedere, una diretta conseguenza delle potenziali sponsorizzazioni aziendali con cui l’AHA sarebbe riuscita a fare la “bella vita” per diversi anni.

 

I PUFA, il colesterolo e gli esperimenti di Ancel Key

Senza entrare nel merito delle dichiarazioni e delle comparsate fatte da Keys tra riviste e show televisivi, resta da chiarire quali siano le prove scientifiche esibite a dimostrazione della “grande bugia del colesterolo”. Tra le tante, spicca una ricerca condotta da Ancel Keys e dall’allora presidente della sezione Minnesota dell’AHA, il dottor Ivan Frantz. L’obiettivo del Minnesota Coronary Experiment era quello di dimostrare che una dieta ricca di grassi polinsaturi, provenienti da oli vegetali, avrebbe non soltanto abbassato sensibilmente il colesterolo del gruppo di controllo, ma avrebbe anche ridotto drasticamente le chance di incorrere in decessi per infarti e ictus.

I partecipanti sono stati divisi in due categorie: i primi hanno adottato l’alimentazione statunitense standard (considerata nociva), i secondi hanno rivoluzionato la propria dieta consumando alti quantitativi di PUFA (gli acidi grassi polinsaturi).

La domanda sorge dunque spontanea: i PUFA sono in grado di abbassare il livello di colesterolo nel sangue?

La risposta è affermativa!

Eppure, non è sufficiente per validare la tesi di Keys.

È stato forse dimostrato scientificamente che l’abbassamento del colesterolo sia alla base di una prevenzione medica contro ictus e attacchi di cuore? La risposta, a ben vedere, non è arrivata mai.

 

Il ruolo preventivo dei PUFA: verità o bugia?

L’esperimento MCE è stato condotto per una durata media di tre anni e mezzo, oppure fino al decesso dei partecipanti. Dopo aver raccolto oltre 2355 cartelle cliniche e 148 file autoptici completi – ovverosia relativi all’autopsia dei soggetti coinvolti – il dottor Frantz ha deciso bene di accantonare le sue “preziose” informazioni negli schedari dell’AHA, lì dove avrebbero preso polvere e, con ogni probabilità, sarebbero state dimenticate dai colleghi che fremevano per ricevere risposte.

Il motivo di tanta reticenza è stato scoperto, circa trent’anni dopo, da Christopher E. Ramsden, ricercatore clinico conosciuto nell’ambiente col soprannome di “Indiana Jones della medicina”. Gran parte dei dati autoptici necessari per determinare la causa del decesso nei pazienti dell’esperimento MCE erano stati cancellati. I pochi rimanenti hanno permesso però a Ramsden di dichiarare quanto segue: «La frequenza, la proporzione e le probabilità di morte nei pazienti coinvolti aumentavano in corrispondenza alla diminuzione del colesterolo».

In altre parole, per ogni riduzione di 30 mg/dL di colesterolo totale sierico, la chance di decesso aumentava del 22%. Il ricercatore ha concluso: «[Noi del team] abbiamo dimostrato come i soggetti del gruppo sperimentale (quelli con dieta ricca di PUFA) abbiano aumentato, piuttosto che ridotto, il rischio di morire per malattie cardiovascolari. È stato un risultato sorprendente!».

La tesi dell’AHA non soltanto era stata smentita, ma addirittura sovvertita.

 

Studi conclusivi, riflessioni e approfondimenti

È davvero possibile affermare che il colesterolo “cattivo” sia un’invenzione medica volta a manipolare il comportamento d’acquisto dei consumatori? Per rispondere a questa delicata domanda, è necessario dare credito ai tanti studi pubblicati nel panorama scientifico a noi contemporaneo.

Secondo ricerche condotte negli ultimi decenni, polmoniti, decessi per cancro, demenze e infezioni sono più comuni tra pazienti con bassi livelli di colesterolo nel sangue. In altre parole, alti tassi di HDL e LDL – desunti, tuttavia, da alimenti di buona qualità, come ho già spiegato nella prima parte del mio contributo – possono fungere da schermo protettivo contro svariate malattie (compreso il contagio da COVID-19).

Giunti a questo punto, è normale chiedersi chi abbia ragione e chi torto. A chi dare credito?

Ricordo allora che Ancel Keys, nella celebre intervista sul Time datata 1961, ha avuto l’ardire di affermare come il fumo di sigaretta non giocasse alcun ruolo di rilievo nello sviluppo di potenziali malattie coronariche. Sarà poi necessario attendere fino al 1984 affinché l’American Heart Association riconosca di aver commesso uno “scivolone medico”.

Viene da chiedersi quanto ancora sia necessario attendere prima che chi di dovere faccia chiarezza sulle informazioni rese note da Ramsden e collaboratori.